MUSEO D’ANTICHITA’ J.J. WINCKELMANN TRIESTE

La storia del Museo inizia nel 1833 con l’inaugurazione del cenotafio di Johann Joachim Winckelmann, insigne studioso di storia antica e arte classica, considerato fondatore della moderna storia dell’arte e padre dell’archeologia, morto tragicamente a Trieste l’8 giugno del 1768. Il monumento a Winckelmann divenne il centro del futuro museo che nacque con lo scopo di favorire lo studio dell’arte e dell’archeologia.

La raccolta del materiale antico fu favorita dalla posizione geografica di Trieste e dalle relazioni commerciali-marittime con le terre classiche dall’Egitto fino alla Mesoamerica. Il Museo è ospitato dal 1925 in un edificio neoclassico di tre piani e conserva accanto ai materiali archeologici della preistoria e della protostoria locale, la collezione egizia, quelle dei vasi greci, Tarantina e Cipriota, e le sale dedicate alla civiltà romana e maya.

I reperti che documentano le usanze e i riti dei primi insediamenti umani sul territorio provengono, in particolare, dalle grotte del Carso, dai Castellieri del Carso triestino e istriano e dallo straordinario sito di Santa Lucia di Tolmino  sull’alto Isonzo in cui sono state trovate 7000 tombe a incinerazione databili tra il VIII e il IV secolo a.C.

La collezione Maya “Cesare Fabietti”  è formata principalmente da una serie di  figurine antropomorfe e zoomorfe realizzata in terracotta da una popolazione di cultura maya databile tra il 600 e 1000 d.C.
 I reperti romani derivano in gran numero da Aquileia, da Tergeste, dall’Istria e dalle zone degli stati confinanti. Tra questi è esposta un’importante serie di rilievi di sarcofagi attici che sono stati prodotti in Grecia tra la fine del II e il III sec. d.C., in particolare si notano due grandi frammenti di Amazzonomachia della fine del II sec. d.C.
e il frammento di un sarcofago attico con il mito di Ippolito.
Una grande esposizione è dedicata ai reperti provenienti dall’antico Egitto, circa un migliaio di pezzi giunti nell’Ottocento e nel primo Novecento. In particolare tra i reperti appartenenti all’epoca faraonica spicca per importanza il grande sarcofago in granito rosa dal peso di sei tonnellate del dignitario Suty-nakht, lo scriba reale preposto al Tesoro del Signore delle Due Terre, che proviene con tutta probabilità da Menfi e
il sarcofago in legno stuccato e dipinto del sacerdote Pa-sen-en-Hor, completo del secondo coperchio (l’involucro di cartonnage) e della mummia ancora intatta. Stele, pyramidion, fogli di papiro, vasi canopi, statuine raffiguranti le principali divinità, animali sacri, amuleti e un insieme di materiali greco-romani, copti e islamici completano il panorama sull’antica civiltà dei faraoni.
Un grande patrimonio del Museo è la straordinaria collezione dei vasi greci e
 in particolare il favoloso rhyton d’argento. Un vaso  configurato a testa di giovane cerbiatto con decorazione sul collo raffigurante una scena mitologica con Borea che rapisce Orizia. Il vaso è databile verso la fine del V secolo a.C. e, probabilmente, è stato lavorato in una bottega di argentiere nelle colonie greche sulla costa del Mar Nero.
L’Orto Lapidario, annesso al Museo, sorgeva intorno al monumento alla memoria di Johann Joachim Winckelmann e nella zona occupata dal cimitero cattolico di San Giusto. Aperto al pubblico nel 1843 custodisce epigrafi, monumenti e sculture di epoca romana. Il tempietto ospita il  cenotafio di Winckelmann ed espone una preziosa collezione di sculture greche appartenuta agli Arcadi Sonziaci.
Il Museo si affaccia sul Giardino del Capitano, così denominato per la sua pertinenza al Capitano cesareo, che reggeva la città in nome dell’Imperatore d’Austria e dimorava nel Castello di San Giusto. Qui sono conservate sculture, lapidi ed iscrizioni di epoca medioevale-moderna.

MUSEO DELLA GUERRA PER LA PACE DIEGO DE HENRIQUEZ TRIESTE

Il museo De Henriquez rappresenta una delle maggiori attrazioni museali italiane nel settore . Il messaggio consegnato alla storia dal suo fondatore è una lettera H che riprende l’iniziale del cognome, ed è attraversata da una fascia di colori brillanti, che alludono alla bandiera della pace.  La collezione de Henriquez, dal 1983 proprietà del Comune, esposta all’interno del museo, è composta da:15.000 oggetti inventariati, di cui 2800 armi, 24.000 fotografie, 287 diari (38.000 pagine), 12.000 libri, 2600 tra manifesti e volantini, 500 stampe, 470 carte geografiche e topografiche, 30 fondi archivistici, 290 documenti musicali, 150 quadri, un fondo di pellicole (250 documenti cinematografici conservati all’Istituto Luce di Roma), e documenti relativi sia alla prima che alla seconda guerra mondiale oltre che alcuni pezzi unici e straordinari.

L’esposizione permanente dal titolo “1914-1918 Il Funerale della Pace” è dedicata alla storia del Primo conflitto mondiale e parte dal Carro funebre della ditta Zimolo di Trieste (inizi ‘900), dello stesso tipo di quelli che il 2 luglio 1914 trasportarono la salma dell’arciduca Francesco Ferdinando, nipote dell’imperatore Francesco Giuseppe I ed erede del trono degli Asburgo, e quella della moglie duchessa Sofia Chotek dalla Piazza Grande (ora Unità) alla Stazione meridionale di Trieste.

Larga parte dello spazio è attribuito alle grandi bocche da fuoco e ai mezzi ruotati relativi al periodo e corredati da testi esplicativi. Un percorso ricco di storia attraverso le sezioni dedicate alla Propaganda, alla Trincea, alla Guerra industriale, fino ad arrivare al comparti della disfatta di Caporetto, dove è illustrata una delle pagine più tristi della storia italiana, e del L’ultimo fronte  dove sono raccontate le fasi finali del conflitto. Un’interessante parentesi su “1914-1918 Trieste in guerra” delinea la storia e le sorti della città dal periodo immediatamente precedente alla conflagrazione fino alla fine della guerra.

Contiene la più grande collezione di armi piccole,medie e grandi d’Italia.

Diego de Henriquez nacque a Trieste il 20 febbraio 1909, fin da giovane si dedicò con passione al collezionismo di oggetti della natura più varia, ma l’inizio della grande collezione bellica cominciò nel 1941,quando richiamato alle armi fu autorizzato dai superiori a recuperare “preda bellica”. Iniziò ad allestire un Museo di guerra, contemporaneamente diede vita a un Giornale del XXV Settore, compilò una guida relativa allo stesso Settore e predispose un laboratorio fotografico. Dopo il 1945,essendo un abile diplomatico, riuscì con le autorità delle diverse truppe di occupazione nel territorio, ad ottenere altro materiale militare che incrementò la sua già ampia collezione.

CIVICO MUSEO SVEVIANO

Italo Svevo pseudonimo dello scrittore Aron Hector Schmitz è ritenuto uno dei principali esponenti della cultura mitteleuropea.

Nasce a Trieste il 19 dicembre 1861 in una famiglia della borghesia ebraica. Nei suoi tre romanzi Una vita (1893), Senilità (1898), e La coscienza di Zeno (1923), sono espressi i tratti salienti della sua opera, derivati in modo stringente dalle esperienze personali come la scoperta della psicoanalisi freudiana e dal periodo culturale in cui egli visse.

Nel 1907 l’incontro e l’amicizia con il suo insegnate d’inglese lo scrittore irlandese James Joyce risvegliarono in lui la fiducia nelle sue capacità artistiche.  Quando i critici italiani nel 1923 ignorarono “La coscienza di Zeno”, Joyce, la cui pubblicazione nel 1922 di “Ulisse” lo aveva reso la voce della modernità, chiamò a raccolta i critici parigini perchè applaudissero Zeno. La fama e il riconoscimento del valore delle sue opere arrivarono gli ultimi anni della vita di Svevo, spezzata il 13 settembre del 1928 dalle conseguenze di un incidente stradale.

Il civico museo sveviano è stato inaugurato il 19 dicembre (la data del giorno in cui ricorre il compleanno di Svevo celebrata ogni anno al museo con una manifestazione) del 1997. Il museo nasce dalla decisione di Letizia Svevo Fonda Savio, figlia dello scrittore, di donare il prezioso patrimonio di oggetti e carte alla Biblioteca civica di Trieste, frequentata in gioventù dal padre, e presso la quale già esisteva una “saletta sveviana”. Purtroppo la maggior parte dei beni personali, appartenuti allo scrittore, e anche i manoscritti dei suoi tre romanzi sono stati distrutti durante il bombardamento aereo che colpì, il 20 febbraio 1945, la villa e la fabbrica dei Veneziani, la famiglia della moglie di Italo Svevo.

I pochi oggetti che sono pervenuti al museo, però, hanno avuto una grande importanza nella vita dello scrittore e, in particolare, il mobile-libreria  caratterizzato dal monogramma con le iniziali intrecciate inciso sulle ante; il violino su cui Svevo per molti anni si è esercitato e col quale si è esibito in un quartetto durante alcuni concerti privati e la penna d’oro che Livia, sua moglie, gli regalò in occasione del loro fidanzamento.