CAVANA TRIESTE

Nel 1714 l’imperatore Carlo VI in occasione della fine delle ostilità con i Turchi  fece costruire un magazzino di sale in fondo alla piazza da cui l’origine del primo nome Piazza del Sale. Il magazzino del sale venne  demolito nel 1821 e ceduto al Comune  che voleva destinarlo al mercato del pesce e  su progetto di Pietro Nobile fece costruire un edificio che avesse al pianterreno dei porticati sorretti da colonne dove si sarebbe svolto il commercio  e i due piani superiori destinati alle abitazioni.


Ma il Comune spostò il mercato del pesce in un’altra zona e nel 1829 vendette anche il porticato del palazzo al commerciante di tabacchi  Carlo Fontana che già aveva acquistato i due piani della casa destinati alle abitazioni private. Dopo la demolizione del magazzino la piazza cambiò il nome in Piazza  Cavana  forse perchè a quell’epoca c’era nelle vicinanze una vecchia cava o dal nome della porta costruita nel 1471, nell’attuale via Cavana, e demolita nel 1778.Si racconta che nel 1313 fu sventato un tentativo di signoria da parte dal patrizio Marco Ranfo. Questa antica famiglia patrizia aveva già nel 1150 un rappresentante tra i Consoli triestini e  nel 1202 furono tra i trecentosettantadue cittadini che avevano fatto giuramento di fedeltà al Doge Dandolo. Marco Ranfo si rese protagonista di questa tumultuosa scossa degli eventi locali, era nel 1285 divenuto procuratore, cioè una specie di notaio degli atti pubblici del Comune, e cinque anni dopo, all’epoca dei contrasti con Venezia, figurò quale console.Nel 1304 egli era capo del Vassalli del Vescovo. Nel 1311 era tra i Consoli  e il suo nome figura nel 1313 in un atto pubblico accanto a quello del rappresentante e del podestà, il vicario Sagramoro. Quindi era un personaggio assai in vista. Si presume che egli tentasse di impadronirsi del Comune e di imporre la sua signoria.L’anno seguente il suo nome scompare. Nelle pagine degli statuti si può leggere la sua condanna: “Marco Ranfo, condannato a morte, sia ucciso, e si estenda questa pena anche ai suoi figli Giovanni e Pietro. Le figlie Clara, Ranfa ed Agnese siano trattate alla stregua delle donne malfamate e vengano bandite dalla città, dopo essere state trattate di frusta per le contrade da una porta all’altra”.La casa dei Ranfi in Piazza Cavana, al Largo del Crocefisso, fu fatta demolire e lo spiazzo sarebbe dovuto rimanere perpetuamente deserto a secolare ricordo del male commesso da questa gente. La sua scomparsa però rimane un mistero. È possibile che egli sia rimasto ucciso mentre andava agitandosi a preparare la sommossa. Forse invece era riuscito a salvarsi fuggendo per la via del mare.

Via dei Capitelli era detta contrada dei Nobili perchè in questa strada c’era la maggior concentrazione delle loro abitazioni. il Nome della strada era dovuto a 4 capitelli (edicole) raffiguranti la passione di Gesù Cristo, oggi di queste ne sopravvivono due. Una edicola del settecento con il Cristo in croce è situata sulla facciata laterale di una delle case di Piazza Cavana. Si racconta che  sotto l’ascella del Cristo compare una pallottola sparata nel 1944 da un sottoufficiale tedesco ubriaco.

Via del Pesce, della Pescheria e del Sale partono da Piazza Cavana verso il mare , mentre Via dei Cavezzeni, dei Capitelli e delle Mura si dirigono verso il colle di San Giusto.Tante stradine storiche si affacciano su Piazza Cavana ognuna con una  peculiarità. In via delle Beccherie fino al 1750 si macellava la carne, in via dei Fornelli c’è un’antica trattoria famosa per il buon pesce, anche il Duca Amedeo d’Aosta quando veniva a Trieste andava a mangiare all’Antica Ghiacceretta. Attraversando via della Pescheria  si arrivava al  mercato del pesce che fino al 1810 era nei pressi dell’attuale via Diaz.Via del Pesce così chiamata perchè si svolgevano le operazioni richieste dalla legge per mettere in vendita il pesce.

Alla fine di Piazza Cavana  c’è il rione di Cavana che si estende nel periodo settecentesco proprio all’interno del borgo storico. All’ingresso del rione c’è la Casa Pepeu, detta così perchè  in uno degli appartamenti ci abitava lo studioso Francesco Pepeu,caratterizzata dalle grandi anfore di pietra che sporgono dal tetto.

Palazzo Antonio Vicco costruito dall’omonimo commerciante portoghese alla fine del 1700 sopra la demolizione dell’Ospedale dell’Annunziata e della chiesetta dedicata alla Beata Vergine dell’Annunziata.Dopo la morte del commerciante il Palazzo diventò la sede della curia vescovile.

 

GROTTA GIGANTE TRIESTE

Nel 1995  Guinness dei Primati come “grotta turistica contenete la sala più grande al mondo”. La Grotta Gigante, la cui origine viene fatta risalire ad almeno una decina di milioni di anni fa, è una vasta cavità presente nel sottosuolo del Carso triestino, costituito da rocce carbonatiche prevalentemente calcaree e in minor misura dolomitiche. Numerosissime stalattiti e stalagmiti  impreziosiscono la grotta e tra queste, che crescono attualmente ad una velocità media di 1mm ogni 15-20 anni, spicca l’imponente “Colonna Ruggero”, alta 12 metri e formatasi in circa 200.000 anni.
Molte di queste stalattiti presentano una colorazione rossastra, dovuta alla presenza di ossidi di ferro. La Grotta  presenta tre accessi naturali, di cui due costituiscono oggi, rispettivamente l’ingresso e l’uscita del percorso turistico. Tutti e tre confluiscono in un’enorme caverna sotterranea che misura 98,5 metri in altezza, 167,6 metri in lunghezze e 76,3 metri in larghezza, per un volume di oltre 300.000 metri cubi. L’ingresso si trova a 274 metri sul livello del mare, mentre la quota del fondo della caverna misura 160,5 metri sul livello del mare.
Dalla caverna principale (denominata “Grande Caverna”) si diparte inoltre un profondo ramo laterale costituito da una serie di pozzi carsici verticali comunicanti, il cui fondo si trova alla profondità di 250 metri sotto la superficie e alla quota di circa 20 metri sul livello del mare. Si diramano dalla Grotta alcune gallerie laterali a fondo cieco le due principali misurano in lunghezza rispettivamente 80 metri e 60 metri.
La scoperta della Grotta comincia nel 1840 quando Trieste  era il principale porto dell’Impero austroungarico e, grazie al boom economico, continuava ad espandersi velocemente. Ben presto le risorse idriche non erano più adeguate allo sviluppo della popolazione e poichè i corsi d’acqua presenti nel territorio, a causa del carsismo, venivano inghiottiti dai pozzi naturali e dalle gallerie delle rocce scavate sull’altipiano, non restava altro che cercare l’acqua nel sottosuolo. L’ingegnere montanistico Anton Friedrich Lindner andò ad esplorare alcune profonde cavità carsiche della zona, tra cui la stessa Grotta Gigante che però, era stata abbandonata ormai da milioni di anni dai corsi d’acqua che l’hanno scavata. Una nuova spedizione portò alla scoperta di due nuovi ingressi nel 1890. Uno di questi ingressi si prestava alla costruzione di scalinate per le visite turistiche e fu così che tra il 1905 ed il 1908 si costruì il primo percorso, ancora oggi in parte utilizzato.
Nel 1997 fu costruito il nuovo percorso di risalita, dedicato a Carlo Finocchiaro, a lungo presidente della Commissione Grotte E. Boegan, nel 2005 è stato inaugurato il nuovo “Centro accoglienza visitatori”, che ospita anche il Museo scientifico speleologico, mentre nel 2007 si concluse l’esplorazione dell’ultimo ramo laterale della Grotta Gigante, oggi dedicato allo speleologo Giorgio Coloni, che consente di raggiungere con l’ausilio di una vera e propria via ferrata la profondità di 250 metri, termina quindi a solo 20 metri sul livello del mare e nel 2009 è stato rinnovato integralmente l’impianto d’illuminazione della grotta.
La Grotta Gigante è pure sito d’importanti ricerche scientifiche  nel campo della Geologia e Speleologia, Paleontologia, Archeologia, Fauna e Flora fino ad ospitare al suo interno i Pendoli Geodetici più lunghi del mondo, usati dal Dipartimento di Matematica e Geoscienze dell’Università degli Studi di Trieste per monitorare innumerevoli movimenti della crosta del nostro pianeta, dalle maree terrestri ai movimenti tettonici delle placche, a impercettibili vibrazioni generate da terremoti che avvengono anche all’altro capo del mondo.

SINAGOGA TRIESTE

Il primo documento che testimonia un insediamento israelitico a Trieste è del 1236. Alla fine del Settecento a Trieste erano presenti quattro sinagoghe. Nel 1903 fu bandito  un concorso internazionale per la realizzazione di una nuova grande sinagoga. Dei 42 progetti presentati non fu scelto alcuno perchè tutti irrealizzabili e nel 1906, la Comunità israelitica si affidò direttamente a Ruggero Berlam, a cui si affiancò il figlio Arduino, per il progetto definitivo e acquistò un fondo nell’allora piazza San Francesco d’Assisi, oggi piazza Giotti,occupato alla fine dell’ Ottocento dalla falegnameria di Carlo Cante.
 Fu anche lanciato un un concorso d’idee internazionale, per la sua edificazione, ma il Tempio sia per la dimensione e per la struttura è  una tipica sinagoga dell’epoca dell’emancipazione in cui la sala da preghiera principale, a pianta rettangolare, si articola in tre navate che culminano nella maestosa abside dalla volta a mosaico dorato. L’ingresso principale si trova in via Donizetti, dove il grande portale viene aperto nelle festività più importanti. mentre l’accesso alla Sinagoga avviene dal piccolo loggiato di via San Francesco.
 ll Tempio è uno dei più grandi e maestosi d’Europa, ed è contraddistinto da richiami orientaleggianti che tornano nelle bifore, nelle colonne, negli intagli e nei caratteristici rosoni che disegnano la stella di Davide. L’interno è a tre navate: le due laterali sono sormontate dai matronei. Il pavimento è musivo. Le decorazioni si limitano a figure geometriche o a forme vegetali. L’abside, preceduta da un arco decorato a mosaico, dà risalto all’Arca Santa, con l’edicola di granito rosa, sormontata dalle Tavole della Legge. Al centro della balconata un fascio di spighe, simbolo della Comunità. La costruzione del tempio iniziò nel 1908  ma la consegna ufficiale alla comunità e l’inaugurazione avvennero nel giugno del 1912.
Nel corso dei decenni il Tempio, di rito tedesco, è stato testimone e anche vittima di tutte le vicende che hanno coinvolto gli ebrei triestini e l’intera città durante il periodo delle leggi razziali fasciste promulgate nel 1938 e all’epoca dell’occupazione nazista della città. Imbrattato all’esterno una prima volta nell’ottobre del 1941 con frasi ingiuriose dai fascisti, fu devastato pesantemente anche internamente il 18 luglio 1942 da un gruppo di squadristi.
Con l’occupazione nazista, nel 1944 la sinagoga fu trasformata in magazzino per i beni degli ebrei e fu ulteriormente danneggiata all’interno. Nel giugno del 1945 la cerimonia di riapertura del Tempio di fronte alle forze alleate segnò il ritorno alla vita dei sopravvissuti della comunità ebraica locale;
Nel 2000 vennero sostituite alcune vetrate del tempio danneggiate dal terremoto del 1976 e nel giugno del 2012 la Comunità ha festeggiato assieme a tutta la cittadinanza il primo centenario del Tempio.  Nel complesso di via San Francesco si trovano anche gli uffici della Comunità, la biblioteca, l’archivio storico e il mikveh (bagno rituale).

PALAZZO GOPCEVICH – MUSEO TEATRALE CARLO SCHMIDL TRIESTE

Spiridione Gopcevich un ricco commerciante della comunità serbortodossa, commissionò la progettazione del Palazzo all’architetto Giovanni Berlam che s’ispirò allo stile eclettico del Palazzo Ducale di Venezia.
il Palazzo fu edificato tra il 1847 e il 1850 e Gopcevich  vi abitò per vent’anni. Il Palazzo era troppo grande per un’unica dimora e quindi fu diviso in due metà una sul Canal Grande e l’altra su  verso via Machiavelli.Nel 1921 diventò sede della Compagnia di Assicurazioni Danubio , poi nel 1928 della Cassa Marittima Adriatica e nel 1999 fu comprato dal Comune per farne un Museo del Teatro.
Il portone centrale è sormontato da un balcone con parapetto e balaustra, sostenuto da cavalli alati e al primo piano sulla facciata del Palazzo ci sono quattro nicchie che rappresentano, secondo alcuni, il conte Zrinnski e consorte, a sinistra, ed il conte Kristofer Frankopan (Cristoforo Frangipane) e consorte, a destra. Ma secondo altri esperti, i quattro personaggi sarebbero gli eroi della battaglia di Kossovo Poljo, Campo dei Merli, combattuta tra Serbi e Turchi il 15 giugno del 1389: il principe Lazzar Grabljanovich, sua moglie Milica (a sinistra) e il condottiero Milos Obilic e un’anonima crocerossina che ebbe cura dei feriti sul campo di battaglia (a destra).
Le sale interne presentano varie decorazioni in stucco ai soffitti e pavimenti in parquet con intarsi, mentre il grande scalone che si apre dall’ingresso è in marmo.Carlo Schmidl e la nascita del Museo Carlo Schmidl (Trieste 7 ottobre 1859 – 7 ottobre 1943),figlio di un direttore di banda ungherese trasferitosi da Budapest a Trieste, Carlo Schmidl inizia la sua attività tredicenne come copista e commesso presso il Fondaco Vicentini.
Si tratta di un negozio di musica, promotore anche di alcune iniziative editoriali, di grande importanza nella vita musicale triestina dell’Ottocento, che sarà successivamente rilevato dallo stesso Schmidl.
In cinquant’anni raccoglie libretti, fotografie, programmi di sala, manifesti e locandine, autografi e cimeli e qualsiasi altro tipo di materiale documenti la vita teatrale e musicale a Trieste. In veste di autore, Schmidl dà alle stampe il Dizionario Universale dei musicisti (prima edizione: Ricordi, 1887) che rimane tutt’oggi strumento indispensabile per qualsiasi indagine sulla ‘musicografia’ del secondo Ottocento.
Il Civico Museo Teatrale nasce nel dicembre del 1924,Carlo Schmidl  stipula con il Comune di Trieste una convenzione con la quale rende di dominio pubblico la sua Raccolta storico-musicale, frutto di mezzo secolo di attività.
Nominato curatore a vita del Museo, mantenne la proprietà e nello stesso tempo la gestione della Raccolta e ne curò personalmente l’incremento con documenti e dati.
Alla sua morte, nel 1943, Schmidl lascia in eredità al Comune la sua Raccolta. Nel frattempo, nel 1936, è stato istituito l’Ente Autonomo Teatro Comunale “Giuseppe Verdi”, il quale mette a disposizione nuovi spazi per le raccolte del Museo in continua crescita.
Salvo la parentesi della seconda guerra mondiale, quando le raccolte vengono messe al sicuro in altre sedi, lo storico edificio del Teatro Verdi ospita pertanto il Civico Museo Teatrale di Fondazione Carlo Schmidl (questa la denominazione dal 1947 in poi) fino alla chiusura del Teatro per i lavori di ristrutturazione all’inizio degli anni Novanta. Provvisoriamente allestito nella sede di Palazzo Morpurgo in Via Imbriani, il Museo ha trovato definitiva collocazione a Palazzo Gopcevich.

CHIESA LUTERANA TRIESTE

Le prime cinque famiglie luterane arrivarono a Trieste nel 1717 per poter esercitare il commercio a Trieste dichiarata porto  franco.  Nel 1852 Trieste aveva  2353 evangelici, luterani e riformati.Il primo atto pubblico della comunità fu l’apertura del cimitero evangelico nel 1754. Il culto luterano fu autorizzato da Maria Teresa d’Austria solo nel 1778 tre anni dunque prima dell’editto di tolleranza dell’imperatore Giuseppe II. Grazie alle riforme di questo sovrano illuminato alla comunità luterana le fu concesso un terreno per la costruzione di una chiesa dove professare il loro culto. L’area si chiamava piazza dei Carradori, perché fin dal XVIII secolo era destinata a stazione per i carradori; successivamente venne denominata piazzetta della Chiesa Evangelica e, infine, largo Odorico Panfili.

L’edificio venne edificato, tra il 1871 e il 1874, sotto la direzione di Giovanni Berlam e Giovanni Scalmanini, ma il progetto originario è riconducibile all’architetto Karl J.C. Zimmermann di Amburgo. Per la progettazione e per la costruzione ci si ispirò alla chiesa di “Nicolai kirche” di Amburgo, realizzata nel 1844 dall’inglese G.G.Scott L’inaugurazione solenne avvenne il 1° novembre del 1874. La chiesa, in stile neogotico, è stata realizzata in pietra d’Istria, con il tetto in lastre di ardesia, ha un campanile alto 50 metri e vetrate istoriate a colori.

All’interno vi sono due monumenti funebri di stile neoclassico che contrastano con le linee gotiche dell’esterno, scolpiti attorno al 1823 da Antonio Bosa e provenienti dalla Chiesa del Rosario, precedente sede della comunità evangelica. Uno è dedicato al negoziante di Borsa Giorgio Enrico Trapp, l’altro al console danese G. Dumreicher d’Osterreicher.
Le campane di bronzo del campanile, ricavate dalla fusione di cannoni francesi, furono donate dall’imperatore tedesco Guglielmo I. Dalla Germania giunsero anche l’altare, il pulpito e l’organo meccanico. Stupenda la vetrata del coro, realizzata a Monaco di Baviera e raffigurante la “Trasfigurazione di Cristo” (ispirata al celebre dipinto del Raffaello), dono della famiglia Rittmeyer.

CHIESA DI SAN NICOLO’ TRIESTE

La liberalizzazione dei traffici in Adriatico sancita con patente da Carlo VI del 1717, il trattato di Passorowitz con cui furono sviluppati i commerci attraverso Trieste tra l’Austria e l’impero ottomano, che comprendeva la Nazione greca (lo Stato greco non esisteva ancora), ma soprattutto l’editto dello stesso Carlo VI del 1719 col quale si dichiarava Trieste porto franco, posero le premesse per lo sviluppo dei commerci e l’insediamento di colonie di popoli di altre nazionalità presso Trieste.Particolare rilevanza assunsero i negozianti di borsa, commercianti marittimi e molti benestanti bottegai provenienti da numerose regioni della Grecia.Uno dei primi greci fu Nicolò Mainati da Zante (1734): assieme ad altri venne a formare un’unica comunità dei greci ortodossi con una presenza minoritaria di illirici, oggi serbi.Il termine greco identicava infatti la religione e non la nazionalità.Nel 1751, anno della concessione della libertà di culto da parte di Maria Teresa, l’archimandrita Omero Damasceno ottenne anche di erigere, in zona adiacente al canale, una chiesa dedicata a San Spiridione.  Nel 1770 la differenza di lingua e costumi portarono i greci a chiedere al governo la separazione dagli illiri.La comunità greca orientale viene così a formarsi ufficialmente nel 1782 e la richiesta di autorizzazione ad erigere un proprio tempio sul fronte mare ne fu il primo atto.La costruzione, avvenne tra il 1784 e il 1795, ma già nel 1787 vi fu celebrata la prima messa.Successivamente nel 1818 l’originaria facciata fu abbellita ad opera dell’architetto Matteo Pertsch, allievo del milanese Piermarini, qui chiamato per questa e molte altre opere da Demetrio Carciotti; il tempio fu chiuso da una nuova cancellata. La facciata si articola su sei paraste ioniche su alto basamento ed è coronata da un timpano allargato su cui si elevano due campanili con probabile influsso barocco tedesco. Le campane ben concertate, fuse in Udine dal Cobalchini, diffondono un suono armonico.
Sopra la porta d’ingresso, sotto il semirosone, l’epigrafe su marmo nero ricorda il permesso alla costruzione concesso dai sovrani d’Austria e il citato restauro: “Con permissione degli augusti sovrani dell’Austria i greci nel 1786 edificarono questo tempio consacrato alla SS. Trinità e al loro protettore San Nicolò per potervi esercitare la religione secondo il rito dei loro padri e poi nel 1819 lo hanno restaurato e possibilmente abbellito“. I greci di Trieste dedicarono il nuovo tempio a San Nicolò e alla SS.Trinità: a questa, quale radice e fine di tutto il mondo cristiano, al Santo per la venerazione goduta in tutto il Levante e perchè patrono delle genti che vivono le attività marinare.  Trieste infatti gli era devota da secoli: a San Nicolò era intitolato anche il più antico cantiere navale.A pianta regolare, è suddivisa in tre spazi liturgici: il presbiterio a tre piccole absidi, la navata e le due balconate per il gineceo ed il coro.

La magnifica iconostasi divide il presbiterio riservato ai celebranti dalla navata a cui accedono i fedeli.La navata con pavimento di marmo a riquadri bianchi e neri è ingentilita da scanni lungo le pareti. Al centro, tra grandi candelabri, sono affiancate l’icona di San Nicolò e, sull’apposito proskinitirion, l’icona che ricorda la festività in atto.La grande tela raffigurante Cristo in gloria circondato da angeli ricopre tutto il soffitto piano ed è ricca di effetti prospettici con balaustre e scorci di architettura classicheggiante.Tale dipinto (olio su tela) può essere attribuito ad un anonimo pittore greco educato principalmente all’Accademia ionica di Panaghiotis Doxaras (1662-1729) non privo d’influssi della scuola veneta. Tra le finestre immagini degli Evangelisti e degli Apostoli.Sulle pareti laterali due grandi quadri del piranese Cesare dell’Acqua (1821) raffiguranti a sinistra la Predicazione di Giovanni Battista e a destra Cristo tra i fanciulli; il quadro sopra la porta di destra raffigura la Filoxenia, ovvero L’ospitalità di Abramo verso gli angeli, ed è attribuibile alla stessa mano della tela del soffitto. L’iconostasi nei luoghi di culto ortodossi separa il presbiterio dai fedeli: diffonde un senso di ricchezza con il luccichio dell’argento che incornicia e copre le icone che la compongono.Fulcro del luogo sacro, è opera di ignoto intagliatore e risente di stile impero nella struttura generale e di stile barocco nella decorazione.

 Simile a quella che era stata eseguita dal Treppan (1794) per il vecchio San Spiridione, essa si eleva su tre registri e si apre sul presbiterio con tre porte dette “regali”: al centro dei battenti di legno, intagliato e dorato, sono inseriti degli ovali dipinti a tempera.Sul coronamento, realizzato a girali e volute, trova luogo il Crocifisso tra la Madonna e San Giovanni, decorato con simboli deli evangelisti realizzato dalla stessa mano che ha decorato le porte “regali”.Le tre tele del registro superiore raffigurano Gesù nel Getsemani, la Deposizione e il Noli me tangere.Nel registro di mezzo l’iconostasi reca ventuno icone a tempera su tavola con fondo oro che raffigurano la Vita di Gesù, dall’Annunciazione all’Ascensione, realizzate dal pittore greco Giovanni Trigonis; nel corso dell’anno queste vengono esposte sul proskinitirion alla venerazione dei fedeli.Il Trigonis, originario delle isole ionie, operò a Trieste dal 1786 al 1833 e vi aprì una scuola di pittura poi affidata al figlio.Notevoli le otto icone dispotiche del registro basso, realizzate dallo stesso Trigonis: sei delle splendide coperture d’argento lavorate a sbalzo sono dovute all’artista greco Costantino Ghertzos operante a Venezia e datate 1839-1856. Queste icone ricordano, nell’ordine da sinistra, San Giorgio, San Spiridione, San Nicolò, la Madonna col Bambino, Cristo in Trono, la Trinità, San Giovanni Precursore e Santa Caterina.Le coperture delle due icone ai lati estremi, quelle di San Giorgio e di Santa Caterina, sono dovute la prima ad oreficeria russa del 1848, e la seconda ad un artista triestino.

Al momento della consacrazione della chiesa (1787), la comunità greca di Gerusalemme fece dono di otto piccole icone che riproducono in misura ridotta, le immagini delle grandi icone qui descritte, le coperture d’argento delle quali lasciano intravedere solo pochi particolari. Tali icone, che fanno mostra di se su eleganti mensole sottostanti, sono attribuibili ad una mano che ha assimilato motivi tardobarocchi pur operando in area palestinese.Gli altari del presbiterio, visibili dalle porte regie dell’Iconostasi, sono inseriti in piccole absidi.In quella centrale appaiono affreschi con i Santi Giovanni, Giacomo, Basilio e Atanasio che fanno da contorno alla SS. Trinità ed alla Madonna; nelle absidi laterali a sinistra la Natività e a destra la Deposizione dalla Croce.Il pulpito ligneo, riccamente decorato da stucchi dorati, riporta quattro pannelli a tempera raffiguranti i quattro evangelisti mentre sulla porticina di accesso è raffigurante il Christos Basileus, tutti opera del Trigonis. Il pulpito è coronato da un fregio austriaco i segno di gratitudine per la concessione, ricevuta dai regnati della casa d’Austria, alla costruzione della nuova chiesa.Le balconate, poste sopra la porta d’ingresso e parzialmente sui lati, sono sostenute da mensole e colonne; quella inferiore, costituiva a suo tempo il gineceo, è decorata da dieci pannelli in olio su tela, attribuibili dalla stessa mano che ha realizzato il registro superiore dell’iconostasi.

Raffigurano scene bibliche quali, nell’ordine, Il Sacrificio di Isacco, L’Entrata di Gesù in Gerusalemme, La Creazione di Eva, La Cacciata dei mercanti dal Tempio e Il Sogno di Giacobbe.La balconata superiore, che costituisce il palco per i cantori, è decorata con tele che raffigurano La morte di Abele, Giona che fugge dalla balena e La Famiglia di Noè dopo il diluvio.Durante le festività della Settimana Santa e della Pasqua hanno luogo celebrazioni particolarmente sentite: la rappresentazione del Santo Sepolcro avviene tramite l’Epitafios, scultura lignea della fine ‘700 attribuibile ad una bottega artigiana locale.Sospeso su 10 colonnine, il baldacchino è sormontato da tre cupole: nella sua parte alta quattordici tavole policrome descrivono la passione e morte di Cristo, dalla preghiera nell’orto alla deposizione dalla croce.

La comunità greca contribuì sensibilmente allo sviluppo della città fondando ditte commerciali, negozi per mercati del porto e istituti d’assicurazione accrescendo anche l’arredo artistico ed architettonico con numerosi palazzi ed intervenendo anche nel sociale, raggiungendo una consistenza massima di 5000 persone. e mutate condizioni socioeconomiche, conseguenti al primo grande conflitto ed alla guerra italo greca degli anni ’40, misero in difficoltà la Comunità. Oggi è composta da circa 600 Greci, vive e tenacemente s’impegna per continuare a dare buona testimonianza delle speranze della Nazione e della luce dell’Ortodossia.
Si racconta che le donne desiderose di  un figlio si sfregavano vicino alla cancellata della Chiesa di San Nicolò per easudire il loro desiderio.