FOIBA DI BASOVIZZA – MONUMENTO NAZIONALE TRIESTE

Un pozzo minerario, scavato all’inizio del XX secolo per intercettare una vena di carbone e presto abbandonato per la sua improduttività, nel maggio del 1945 divenne un luogo di esecuzioni sommarie da parte dei partigiani comunisti di Tito per migliaia di italiani di ogni estrazione: civili, militari, carabinieri, finanzieri, agenti di polizia e di custodia carceraria, fascisti e antifascisti, membri del Comitato di liberazione nazionale, dapprima destinati ai campi d’internamento allestiti in Slovenia e successivamente infoibati a Basovizza.
Questi dopo essere stati prelevati nelle case di Trieste, durante alcuni giorni di un rigido coprifuoco venivano trasportati con i carri della morte a Basovizza e con le mani straziate dal filo di ferro e spesso avvinti fra loro a catena, venivano sospinti a gruppi verso l’orlo dell’abisso. Una scarica di mitra ai primi faceva precipitare tutti nel baratro. Sul fondo chi non trovava morte istantanea dopo un volo di 200 metri, continuava ad agonizzare tra gli spasmi delle ferite e le lacerazioni riportate nella caduta tra gli spuntoni di roccia. Molte vittime erano prima spogliate e seviziate.
Dichiarata Monumento Nazionale nel 1992, è divenuta oggi il principale memoriale – simbolo per i familiari degli infoibati e dei deportati deceduti nei campi di concentramento in Jugoslavia e delle associazioni degli italiani esuli dall’Istria, da Fiume e dalla Dalmazia, che qui ricordano le vittime delle violenze del 1943-1945. Il Giorno del ricordo è una solennità civile nazionale celebrata il 10 febbraiodi ogni anno. Istituita con la legge n. 92 del 30 marzo 2004 ” La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale “Giorno del ricordo” al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”.
Nel 2007 è stata inaugurata la nuova sistemazione del Sacrario,
che dal 2008 è dotato anche di un Centro di Documentazione gestito dalla Lega Nazionale in collaborazione con il Comune di Trieste.

PIAZZA HORTIS TRIESTE

Piazza Hortis era un antico sito cimiteriale dell’epoca paleocristiana eppoi  venne creata a seguito della demolizione del 1788 di parte del convento duecentesco dei Frati Minori di San Francesco  annesso all’attuale

chiesa di Sant’Antonio Vecchio (oggi Beata Vergine del Soccorso). Prima i francesi la nominarono Piazza Lutzen per celebrare la vittoria di Napoleone, poi gli asburgo Piazza Lipsia per celebrare la sconfitta dei francesi eppoi Piazza Attilio Hortis come omaggio ad uno dei più illustri direttori in carica alla Biblioteca Civica che si affaccia direttamente sulla piazza.

La piazza è coperta quasi interamente da un’enorme giardino circa 2100 mq. di superficie ove si possono ammirare alberi pregiati. Al centro è posta un’opera di Giovanni Mayer e la statua di Jacopo Hortis. Nel 1822 la Biblioteca fu trasferita da Piazza Unità

 a Casa Biserini, edificio costruito su un’altra parte di demolizione del convento francescano.

Davanti alla Biblioteca Civica è collocata la statua dello scrittore Italo Svevo, simbolo della cultura letteraria della piazza. Opera del 2004 dello scultore triestino Nino Spagnoli.

TEATRO GIUSEPPE VERDI TRIESTE

Il Teatro Verdi nasce con il nome di Teatro Nuovo poi nel 1821 fu chiamato Teatro Grande, nel 1861, dopo la sua acquisizione da parte della Municipalità, divenne Teatro Comunale e, il 27 gennaio 1901, venne consacrato al nome di Verdi poche ore dopo la morte del grande compositore, con delibera della Deputazione Comunale. Sostituisce il Teatro “San Pietro” che per tutto il Settecento era stato il cuore della vita teatrale della città. Su un’area  prospiciente il mare,il fondo retrostante la Dogana Vecchia,tra il borgo Teresiano, centro commerciale ed economico e Piazza Unità, centro politico della città,  Giovanni Matteo Tommasini, rappresentante del Granducato di Toscana a Trieste, commissionò, tra il 1798 e il 1801, agli architetti Giannantonio Selva (lo stesso della “Fenice” di Venezia) e Matteo Pertsch, la costruzione del teatro. La struttura è simile a quella del “Teatro della Scala” edificato dall’architetto Giuseppe Piermarini, incluso anche il porticato proteso in avanti a richiamare il pubblico a teatro. Sulla facciata il porticato centrale, si presenta con arcate a tutto sesto ed è sovrastato da una fascia composta da semicolonne di ordine ionico e finestre.Le statue inserite in nicchie nella facciata principale raffigurano Plutone dio degli inferi con il cane Cerbero a sinistra e Marte dio della guerra a destra. Il gruppo scultoreo posto sulla sommità dell’edificio rappresenta Apollo affiancato dall’Arte Lirica(Talia, musa della commedia) e dall’Arte Tragica( Melpomene, musa della tragedia). Tra il 1882-84 Eugenio Geiringer realizzò la facciata posteriore e la capienza della sala venne portata dagli originari 1400 a 2000 posti.Nel 1889 l’illuminazione a gas fu sostituita da quella elettrica.

L’inaugurazione del Teatro,allora proprietà del conte Cassis Faraone, ricco commerciante del Cairo, avvenne il 21 aprile 1801 con la rappresentazione di Ginevra di Scozia di Simone Mayr e di Annibale in Capua di Antonio Salieri.Melodrammi, balli, drammi e commedie che ottenevano successo sulle scene italiane ed europee trovavano pronta accoglienza nel Teatro triestino affollato da un pubblico di appassionati e di intenditori. Nell’autunno del 1813 la flotta di sua Maestà britannica, in guerra contro Napoleone Bonaparte, durante l’assedio alle truppe francesi asserragliate nel castello di San Giusto, già sotto assedio da quelle austriache giunte via terra dal Carso, scambiò con il castello un nutrito fuoco di artiglieria durante il quale rimasero colpite, altre la chiesa di San Giusto e varie case, anche il teatro dove rimasero incastrate nel suo muro 5 palle di cannone francese da 32 libbre.

Rossini fu dato per la prima volta a Trieste con L’Italiana in Algeri (1816), Donizetti con L’Ajo nell’imbarazzo (1826) e Bellini con Il Pirata (1831). La prima opera di Verdi fu il Nabucco (11 gennaio 1843), cui seguirono tutte le altre, quasi sempre a poca distanza dalla prima assoluta; due opere, anzi furono appositamente composte da Verdi per il Teatro Nuovo: Il Corsaro (25 ottobre 1848) e Stiffelio. Grandi direttori d’orchestra hanno calcato il palco del teatro alcuni gloriosi, quali Mahler, Strauss e Toscanini.

Alla prima metà del XIX secolo risalgono gran parte delle decorazioni pittoriche interne attribuite a Giuseppe Bernardino Bison, Alessandro Sanquirico, Placido Fabris, Giuseppe Gatteri e Tranquillo Orsi. Le decorazioni interne tuttora visibili vennero invece eseguite da decoratori austriaci negli anni Ottanta dell’Ottocento.

Divenuto Fondazione di diritto privato nel 1999, è attualmente gestito dalla Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste.

MUSEO D’ANTICHITA’ J.J. WINCKELMANN TRIESTE

La storia del Museo inizia nel 1833 con l’inaugurazione del cenotafio di Johann Joachim Winckelmann, insigne studioso di storia antica e arte classica, considerato fondatore della moderna storia dell’arte e padre dell’archeologia, morto tragicamente a Trieste l’8 giugno del 1768. Il monumento a Winckelmann divenne il centro del futuro museo che nacque con lo scopo di favorire lo studio dell’arte e dell’archeologia.

La raccolta del materiale antico fu favorita dalla posizione geografica di Trieste e dalle relazioni commerciali-marittime con le terre classiche dall’Egitto fino alla Mesoamerica. Il Museo è ospitato dal 1925 in un edificio neoclassico di tre piani e conserva accanto ai materiali archeologici della preistoria e della protostoria locale, la collezione egizia, quelle dei vasi greci, Tarantina e Cipriota, e le sale dedicate alla civiltà romana e maya.

I reperti che documentano le usanze e i riti dei primi insediamenti umani sul territorio provengono, in particolare, dalle grotte del Carso, dai Castellieri del Carso triestino e istriano e dallo straordinario sito di Santa Lucia di Tolmino  sull’alto Isonzo in cui sono state trovate 7000 tombe a incinerazione databili tra il VIII e il IV secolo a.C.

La collezione Maya “Cesare Fabietti”  è formata principalmente da una serie di  figurine antropomorfe e zoomorfe realizzata in terracotta da una popolazione di cultura maya databile tra il 600 e 1000 d.C.
 I reperti romani derivano in gran numero da Aquileia, da Tergeste, dall’Istria e dalle zone degli stati confinanti. Tra questi è esposta un’importante serie di rilievi di sarcofagi attici che sono stati prodotti in Grecia tra la fine del II e il III sec. d.C., in particolare si notano due grandi frammenti di Amazzonomachia della fine del II sec. d.C.
e il frammento di un sarcofago attico con il mito di Ippolito.
Una grande esposizione è dedicata ai reperti provenienti dall’antico Egitto, circa un migliaio di pezzi giunti nell’Ottocento e nel primo Novecento. In particolare tra i reperti appartenenti all’epoca faraonica spicca per importanza il grande sarcofago in granito rosa dal peso di sei tonnellate del dignitario Suty-nakht, lo scriba reale preposto al Tesoro del Signore delle Due Terre, che proviene con tutta probabilità da Menfi e
il sarcofago in legno stuccato e dipinto del sacerdote Pa-sen-en-Hor, completo del secondo coperchio (l’involucro di cartonnage) e della mummia ancora intatta. Stele, pyramidion, fogli di papiro, vasi canopi, statuine raffiguranti le principali divinità, animali sacri, amuleti e un insieme di materiali greco-romani, copti e islamici completano il panorama sull’antica civiltà dei faraoni.
Un grande patrimonio del Museo è la straordinaria collezione dei vasi greci e
 in particolare il favoloso rhyton d’argento. Un vaso  configurato a testa di giovane cerbiatto con decorazione sul collo raffigurante una scena mitologica con Borea che rapisce Orizia. Il vaso è databile verso la fine del V secolo a.C. e, probabilmente, è stato lavorato in una bottega di argentiere nelle colonie greche sulla costa del Mar Nero.
L’Orto Lapidario, annesso al Museo, sorgeva intorno al monumento alla memoria di Johann Joachim Winckelmann e nella zona occupata dal cimitero cattolico di San Giusto. Aperto al pubblico nel 1843 custodisce epigrafi, monumenti e sculture di epoca romana. Il tempietto ospita il  cenotafio di Winckelmann ed espone una preziosa collezione di sculture greche appartenuta agli Arcadi Sonziaci.
Il Museo si affaccia sul Giardino del Capitano, così denominato per la sua pertinenza al Capitano cesareo, che reggeva la città in nome dell’Imperatore d’Austria e dimorava nel Castello di San Giusto. Qui sono conservate sculture, lapidi ed iscrizioni di epoca medioevale-moderna.

CIVICO ACQUARIO MARINO TRIESTE

Il Civico Acquario marino di Trieste è stato inaugurato nel 1933 nei locali di un lato dell’edificio che allora ospitava la Pescheria Centrale della città. L’edificio, che si affaccia sul mare, fu eretto nel 1913 su progetto dell’architetto Giorgio Polli e, attualmente, ospita il “Salone degli Incanti”, uno spazio dedicato ad esposizioni e incontri culturali. L’Acquario marino occupa il piano terra e il primo piano della parte che comprende la torre dell’orologio sulla quale si erge un campanile.

In realtà il campanile contiene un serbatoio di acqua prelevata direttamente dal mare e che, attraverso un potente sistema di pompaggio, viene spinta nella torre a circa 10 m.di altezza. Quando si è riempita la grande vasca di decantazione, l’acqua, per caduta, viene erogata al piano terra dove sono presenti una trentina di vasche. Il vantaggio di questo sistema consiste nella sostituzione continua dell’acqua lasciando integro il suo contenuto di plancton.

Le vasche sono di diverse dimensioni, le più grandi contengono ambienti dell’alto Adriatico, come l’allevamento di mitili, mentre, le più piccole, accolgono le specie tipiche del Mar Mediterraneo, tra cui astici, aragoste, orate, branzini, scorfani, dentici, murene, cefali e mormore. I vari gruppi di celenterati, anellidi, molluschi, echinodermi, crostacei e pesci  provengono prevalentemente dal Golfo di Trieste.

 Al piano terra, nella grande vasca ottagonale di circa 10.000 litri, sono ospitati piccoli squali e le razze.

 Il Vivarium occupa il primo piano dell’Acquario marino e contiene numerose specie di anfibi e rettili  Tra i terrari tradizionali è possibile osservare le tre specie di vipere del Nord Est italiano, mentre, nell’ampio terrario a sviluppo verticale, si possono ammirare grossi esemplari tropicali come iguana, pitoni e boa che, a rotazione, vengono ospitati nel Vivarium.
Durante i mesi invernali, per stimolare la riproduzione degli animali provenienti dalle zone temperate, viene consentito lo svolgimento di una sorta di letargo. Per creare le condizioni idonee allo sviluppo della specie e al mantenimento del corretto equilibrio fisiologico degli animali, nel periodo che va dal mese di novembre a febbraio,viene eliminata qualsiasi fonte di calore,diminuite le ore di luce e abbassata la temperatura nelle vasche.
 Nel Vivarium, in un grande recinto circondato da tradizionali terrari, è stato ricostruito l’ambiente degli stagni carsici dove si riproducono regolarmente gli ululoni, i rospi comuni e le rane verdi.
Si racconta che giovedì 5 febbraio 1953 salpa dalla stazione Marittima di Trieste la motonave Europa diretta  verso Città del Capo. Qui i marinai durante una sosta un pò annoiati per gioco hanno catturato un pinguino . Quando la nave è salpata da Città del Capo,  il pinguino è ancora a bordo. Al ritorno a Trieste, il 18 maggio, dall’Europa sbarca un clandestino particolare chiamato Marco dal nostromo della nave, Giovanni Barrera, il figlio che avrebbe voluto dare ad un figlio mai arrivato. Marco è stato accolto nell’Acquario marino e per 32 anni è stato il mito dei triestini adulti e piccini. 

MUSEO DELLA GUERRA PER LA PACE DIEGO DE HENRIQUEZ TRIESTE

Il museo De Henriquez rappresenta una delle maggiori attrazioni museali italiane nel settore . Il messaggio consegnato alla storia dal suo fondatore è una lettera H che riprende l’iniziale del cognome, ed è attraversata da una fascia di colori brillanti, che alludono alla bandiera della pace.  La collezione de Henriquez, dal 1983 proprietà del Comune, esposta all’interno del museo, è composta da:15.000 oggetti inventariati, di cui 2800 armi, 24.000 fotografie, 287 diari (38.000 pagine), 12.000 libri, 2600 tra manifesti e volantini, 500 stampe, 470 carte geografiche e topografiche, 30 fondi archivistici, 290 documenti musicali, 150 quadri, un fondo di pellicole (250 documenti cinematografici conservati all’Istituto Luce di Roma), e documenti relativi sia alla prima che alla seconda guerra mondiale oltre che alcuni pezzi unici e straordinari.

L’esposizione permanente dal titolo “1914-1918 Il Funerale della Pace” è dedicata alla storia del Primo conflitto mondiale e parte dal Carro funebre della ditta Zimolo di Trieste (inizi ‘900), dello stesso tipo di quelli che il 2 luglio 1914 trasportarono la salma dell’arciduca Francesco Ferdinando, nipote dell’imperatore Francesco Giuseppe I ed erede del trono degli Asburgo, e quella della moglie duchessa Sofia Chotek dalla Piazza Grande (ora Unità) alla Stazione meridionale di Trieste.

Larga parte dello spazio è attribuito alle grandi bocche da fuoco e ai mezzi ruotati relativi al periodo e corredati da testi esplicativi. Un percorso ricco di storia attraverso le sezioni dedicate alla Propaganda, alla Trincea, alla Guerra industriale, fino ad arrivare al comparti della disfatta di Caporetto, dove è illustrata una delle pagine più tristi della storia italiana, e del L’ultimo fronte  dove sono raccontate le fasi finali del conflitto. Un’interessante parentesi su “1914-1918 Trieste in guerra” delinea la storia e le sorti della città dal periodo immediatamente precedente alla conflagrazione fino alla fine della guerra.

Contiene la più grande collezione di armi piccole,medie e grandi d’Italia.

Diego de Henriquez nacque a Trieste il 20 febbraio 1909, fin da giovane si dedicò con passione al collezionismo di oggetti della natura più varia, ma l’inizio della grande collezione bellica cominciò nel 1941,quando richiamato alle armi fu autorizzato dai superiori a recuperare “preda bellica”. Iniziò ad allestire un Museo di guerra, contemporaneamente diede vita a un Giornale del XXV Settore, compilò una guida relativa allo stesso Settore e predispose un laboratorio fotografico. Dopo il 1945,essendo un abile diplomatico, riuscì con le autorità delle diverse truppe di occupazione nel territorio, ad ottenere altro materiale militare che incrementò la sua già ampia collezione.

CIVICO MUSEO SVEVIANO

Italo Svevo pseudonimo dello scrittore Aron Hector Schmitz è ritenuto uno dei principali esponenti della cultura mitteleuropea.

Nasce a Trieste il 19 dicembre 1861 in una famiglia della borghesia ebraica. Nei suoi tre romanzi Una vita (1893), Senilità (1898), e La coscienza di Zeno (1923), sono espressi i tratti salienti della sua opera, derivati in modo stringente dalle esperienze personali come la scoperta della psicoanalisi freudiana e dal periodo culturale in cui egli visse.

Nel 1907 l’incontro e l’amicizia con il suo insegnate d’inglese lo scrittore irlandese James Joyce risvegliarono in lui la fiducia nelle sue capacità artistiche.  Quando i critici italiani nel 1923 ignorarono “La coscienza di Zeno”, Joyce, la cui pubblicazione nel 1922 di “Ulisse” lo aveva reso la voce della modernità, chiamò a raccolta i critici parigini perchè applaudissero Zeno. La fama e il riconoscimento del valore delle sue opere arrivarono gli ultimi anni della vita di Svevo, spezzata il 13 settembre del 1928 dalle conseguenze di un incidente stradale.

Il civico museo sveviano è stato inaugurato il 19 dicembre (la data del giorno in cui ricorre il compleanno di Svevo celebrata ogni anno al museo con una manifestazione) del 1997. Il museo nasce dalla decisione di Letizia Svevo Fonda Savio, figlia dello scrittore, di donare il prezioso patrimonio di oggetti e carte alla Biblioteca civica di Trieste, frequentata in gioventù dal padre, e presso la quale già esisteva una “saletta sveviana”. Purtroppo la maggior parte dei beni personali, appartenuti allo scrittore, e anche i manoscritti dei suoi tre romanzi sono stati distrutti durante il bombardamento aereo che colpì, il 20 febbraio 1945, la villa e la fabbrica dei Veneziani, la famiglia della moglie di Italo Svevo.

I pochi oggetti che sono pervenuti al museo, però, hanno avuto una grande importanza nella vita dello scrittore e, in particolare, il mobile-libreria  caratterizzato dal monogramma con le iniziali intrecciate inciso sulle ante; il violino su cui Svevo per molti anni si è esercitato e col quale si è esibito in un quartetto durante alcuni concerti privati e la penna d’oro che Livia, sua moglie, gli regalò in occasione del loro fidanzamento.